prefazione
Giuseppe A. Lodi
Enrico Castelnuovo ha così definito il
Liberty :
((Termine usato quasi esclu–
sivamente per designare una corrente di gusto legata strettamente ai
mo–
delli dell 'Art
nouveau,
presente in Italia a partire dagli ultimi anni del secolo
XIX ed esauritasi allo scoppio della prima guerra mondiale. Il termine (deri–
vato dal nome dei magazzini londinesi Arthur Lesenby Liberty, che negli
ultimi decenni dell 'Ottocento si erano specializzati nella vendita al pubbli–
co
di stoffe e manufatti delle scuole d 'artigianato inglesi legate in origine
all'attività di William Morris e deii'Arts and Crafts Movement) venne dappri–
ma riferito soltanto alla produzione grafica e d 'arte, ma passò più tardi a
designare tutto l'Art
nouveau
italiano, compresi i prodotti delle cosiddette
"arti maggiori ",,.
Nel campo dell 'architettura il gusto liberty trovò espressione in Italia
so–
prattutto nei primissimi anni del nuovo secolo e si trattò di un gusto tipica–
mente borghese: pensiamo a certe ville, ad edifici industriali e commer–
ciali.
L'Esposizione d 'arte decorativa moderna del 1902, che si tenne a Torino,
segna un punto di riferimento fondamentale per chi voglia ripercorrere le
tappe di quello che venne anche chiamato «Stile floreale>>. Torino 1902:
una città e una data che sono importanti, perché ci indicano come la scelta
non fosse casuale.
Torino era uscita, negli ultimi decenni del secolo, dalla forte delusione suc–
cessiva alla perdita della capitale del nuovo Regno d 'Italia e stava avvian–
dosi verso l'industrializzazione che le avrebbe restituito ruolo ed impor–
tanza.
Significativa, a questo riguardo, è la testimonianza di Augusto Monti, il
maestro di tante generazioni di giovani a/liceo d 'Azeglio di Torino, che fu
indagatore attento della storia subalpina.
Scrive Monti in una pagina particolarmente acuta in cui analizza la
Torino
di Gozzano:
<< Torino fra due esposizioni internazionali, tutte e due al Valen–
tino: quella de/ '98 e l'esposizione del 1911 per il cinquantenario del Regno
d 'Italia: ecco Torino tra l 'Otto e il Novecento con le vecchie carrozze citta–
dine e, già, le prime automobili di piazza, con le emozioni del primo
tapis
roulant
alle fiere rionali e le non meno vive emozioni del primo sciopero ge–
nerale del 1904 >>.
Ed ancora: <Torino si muove, e dietro a lei cammina l'Italia,
o
almeno buo–
na parte dell 'Italia. Pullulano le società anonime. La liretta di carta fa aggio
sull'oro. Tornano a circolare i gialli marenghini d 'oro. La corsa alla ricchez–
za? No, piuttosto il ritorno all'agiatezza dei nonni: le nuove ricchezze entra–
no in case dove ci sono mobili vecchi, libri, ricordi. Torino si muove. Il cor–
so
Dante, a casa del diavolo, lo stabilimento Fiat si dilata: i diecimila metri
quadrati di cinque anni prima diventano quarantamila e l'anno dopo le
900.000 lire di capitale diventano di botto 9.000.000>.
Sono anni in cui Torino cresce, senza snaturarsi, anzi si abbellisce.
Sarebbe tuttavia un grosso errore ridurre questo fervore al solo campo del–
l'economia in rapida evoluzione sotto la spinta della politica voluta da Gio–
vanni Giolitti, che aveva impresso una svolta intesa a modernizzare il
Paese.
Sarebbe assai limitativo pensare ad una Città in cui il rude carattere subal–
pino ha trovato modo di manifestarsi attraverso l'industria.
Ha scritto giustamente Edoardo Ba/Ione: (( Viaggiatori ottocenteschi aveva–
no definito Torino una città "alle porte dell 'Europa e alle porte d 'Italia ". Dun–
que, una città socio/ogicamente ambigua: quella che dalla "vicina " Eu-